DAL LATINO AL VOLGARE ITALIANO
Dall’unione delle lingue
italiche (Osco, Umbro, Sabino, etc.), alcune delle quali molto primitive
soprattutto nella scrittura, dell’Etrusco (di origine incerta ma, con tutta
probabilità, orientale) e, in misura preponderante, del Greco, nacque la lingua
Latina.
In seguito la lingua Latina si
sviluppò mantenendo sempre la differenza tra lingua parlata e lingua scritta;
si mantenne anche una grande differenza tra il “classico” usato dalle classi
alte e/o colte, il latino volgare,
usato dal popolo, e il cosiddetto Sermo
Familiaris, cioè la lingua parlata nell’intimità della casa, nei colloqui
familiari.
Con la fine dell’impero romano
sembrò finire anche la lingua latina quale strumento comune a tutti i popoli
che Roma aveva conquistato. In effetti la lingua latina non sparì ma si
modificò, ricevendo i contributi delle diverse parlate che si usavano
all’interno del vasto territorio dell’impero. Entrarono così a far parte del
latino parole, forme ed espressioni nuove, sempre più avvicinando la lingua
ufficiale a quella da tutti parlata.
Questa modalità di
trasformazione diede vita alle lingue
volgari, cioè parlate dal popolo, assai differenti dal latino ufficiale. Il
latino rimase usato quasi esclusivamente negli atti ufficiali (leggi,
decreti…etc.) e nella pratica liturgica della Chiesa. Ma, pur restando la
lingua della cultura “alta”, il latino medievale mostra, nei documenti scritti,
attraverso la sempre più frequente comparsa di “errori”e innovazioni,
l’inserimento di nuovi usi della lingua, anche se chi scrive è ancora convinto
di usare il latino.