UGO FOSCOLO
La vita e le sue opere
Nicolò Ugo Foscolo nacque a
Zante, una delle isole jonie dipendenti dalla repubblica veneta, il 6 febbraio
1778. Il padre fu Andrea, medico in quella città: la madre, la bella e dolce
Diamantina Spathis, già vedova di Giovanni Aquila Serra genovese. Ugo era il
maggiore di parecchi fratelli: Rubina, Gian Dionisio, Costantino, Angelo,
Giulio: che egli amò tutti paternamente, come teneramente adorò la madre.
Morto Nicolò, il nonno di Ugo,
medico anch'esso e direttore dell'ospedale di Spalato, Andrea gli succedette in
quell'ufficio. E della fanciullezza di Ugo, questi di Spalato furono gli anni
più felici. Ma nel 1781 Andrea morì. La vedova Foscolo dovette spogliarsi
d'ogni suo bene dotale, per soddisfare i creditori del marito. Quindi si recò a
Venezia, dove il marito aveva lasciato in sospeso alcuni affari. Ugo e gli
altri fratelli ve la raggiunsero verso il 1792. Si stabilirono in una povera
casa del sestiere di Castello.
A Spalato aveva frequentato le
scuole del Seminario. A Venezia fu posto alle scuole di S. Cipriano, di cui era
provveditore Gaspare Gozzi. È probabile che fosse introdotto assai presto nel
salotto della bellissima Isabella Teotochi Albrizzi, che forse il giovinetto
amò. Colà conobbe i letterati più insigni che a quel tempo convenivano in
Venezia: tra gli altri Ippolito Pindemonte e Melchiorre Cesarotti, che udì, per
quanto saltuariamente, anche dalla sua cattedra di Padova. Ugo - che credeva
più nel genio che nelle regole - dovette aver cari gli arditi concetti critici
e linguistici del Cesarotti: benchè egli simpatizzasse con l'accademia dei Granelleschi, conservatrice
della tradizione letteraria, e si dichiarasse obbligato al Dalmistro, uno dei
più autorevoli fra quegli accademici. Ma del Cesarotti il malinconico e
fantastico giovinetto lesse avidamente l'Ossian. Non però meno lo
sedusse l'Alfieri. E una tragedia alla maniera alfieriana, il Tieste, rappresentò il 4
gennaio 1797 al teatro S. Angelo. Piacque tanto, che fu ripetuta per nove sere
consecutive. E il giovanissimo autore - che fin allora si era provato in
liriche passionali e filosofiche di assai scarso valore - divenne celebre.
Ma Ugo credette di ritrovare se
stesso, quando gli eserciti del Buonaparte proclamarono la libertà d'Italia e
minacciarono di invadere l'antica repubblica. Democratico convinto, il Foscolo,
sin dall'anno precedente, aveva scritto un fiero sonetto contro la neutralità
di Venezia: e quindi (a scampare da possibili persecuzioni) si era rifugiato a
Bologna nella Cispadana,
arruolandosi volontario dei cacciatori a cavallo. A Bologna, nel '97, scrisse
la sua sonante ode Bonaparte
liberatore, offrendola ai cittadini di Reggio, che, primi in Italia,
avevano accolto la rivoluzione. Quando, abolito il governo della Serenissima,
si fondò in Venezia una municipalità provvisoria, il Foscolo credette suo
dovere di ritornare subitamente nella sua patria di elezione. E nei pochi mesi
di vita che ebbe la costituzione repubblicana, egli militò costantemente nel
partito più avanzato e più puritano e più ingenuo. Fu dei quattro secretari
della municipalità, con incarico di redigere i verbali: Il trattato di
Campoformio, onde Venezia era ceduta all'Austria, fu per il Foscolo, anche più
che una delusione, una lezione: di quelle che insegnano molte cose e capitali.
Di lì nacque in lui quella diffidenza, se non pur quell'odio, verso il
Buonaparte e la democrazia francese, che non lo abbandonò mai più; di lì
sgorgò, o trovò conferma, il suo desolato credo pessimistico: che il mondo è
dei forti e degli astuti. Di lì sorse il concetto che l'Italia non deve
attendere la sua risurrezione che da sè e dalle sue energie: e si iniziò il
culto appassionato per le tradizioni della patria, violate tutte nel dispregio
che il Bonaparte mostrava per la più antica delle nostre repubbliche.
Ceduta Venezia all'Austria, pare
che il Foscolo fosse di quelli che proponevano di dare il fuoco alla città,
prima che lasciarla invadere dallo straniero. Certo uno spirito libero come il
suo non poteva rimanere sotto il nuovo governo. Che se il governo francese
aveva così oltraggiata la sua Venezia, la Francia significava pur sempre la libertà, e
l'avvenire. Ugo venne a Milano, ove chiese ed ottenne la cittadinanza nella
repubblica Cisalpina. Divenne redattore del Monitore
italiano, col Custodi e col Gioia: specialmente doveva compilare le
relazioni delle sedute del corpo legislativo e quelle del Consiglio dei
Seniori, e soggiungervi le sue osservazioni: ufficio da censore più che da
pubblicista. Rivide a Milano il Monti, già conosciuto da lui a Bologna, e poi
presentato a Venezia alla Società per l'istruzione pubblica. È probabile
s'invaghisse della moglie del Monti, la bella Teresa Pickler. Comunque sia di
ciò, al Monti si legò di viva amicizia. Il giovine scrittore conobbe Parini
alla vigilia della morte; e ne fece l'apoteosi nell'Ortis e nei Sepolcri e nelle lezioni di eloquenza a Pavia.
Nell'aprile del 1798 il Monitore, troppo libero e
troppo italiano, fu soppresso.
Necessità di vivere portò allora
il Foscolo a Bologna, ove ebbe un modesto impiego cancelleresco alla sezione
criminale del Dipartimento del Reno. E a Bologna, dal Marsigli, fece stampare -
senza però pubblicarla - la prima parte delle Lettere
di Jacopo Ortis: molto diverse dalla edizione definitiva: ove protagonisti
sono una vedova, Teresa, una sua figliuoletta, Giovannina, Odoardo, promesso
sposo di Teresa, e Jacopo Ortis. Ma, alla notizia che gli Austro-russi
invadevano l'Italia, il Foscolo riprese servizio come luogotenente della
guardia nazionale di Bologna, che dava la caccia ai contadini insorti; si trovò
alla ripresa di Cento, le cui mura scalò per primo, e fu ferito d'un colpo di
baionetta in una coscia.
Intanto il Marsigli - che aveva
fretta di terminare e pubblicare il romanzo - con una leggerezza forse unica
nella storia degli editori - almeno degli editori di autori viventi — affidò la
prosecuzione del romanzo a un Angelo Sassoli bolognese, dottore di leggi e
giornalista, che continuò sguajatamente e secondo un piano suo l'Ortis.
Ma il Foscolo non pensava allora
più a continuare l'Ortis: pensava a combattere. Al seguito del generale
Macdonald fu alla Trebbia. Negli ultimi del giugno 1799, con le milizie
Cisalpine e Francesi, fu a Firenze: e vi conobbe il Niccolini. Forse partecipò
alla battaglia di Novi, del 15 agosto. Finalmente riparò in Genova, stretta
d'assedio dagli Austro-russi padroni di tutta l'Italia settentrionale, e difesa
dal generale Massena. In Genova pubblicò l'ardito Discorso sull'Italia al generale Championnet, pieno di idee
che noi diremmo socialistiche: ristampò l'ode al Buonaparte, con una lettera,
ove rimprovera all'eroe il traffico di Venezia, e l'ammonisce a non cedere alla
tentazione di farsi tiranno. Corteggiò la marchesa Luisa Pallavicino, e scrisse
un'ode famosa, quand'ella fu gettata da cavallo, in una sua passeggiata verso
Sestri. Nel dicembre gli fu imposto di partir per la Francia: giunse a Nizza, e
doveva proseguire per Dijon: ma preferì ed ottenne di ritornare a Genova, dove
pure l'epidemia e la fame facevano strage. Fu aggregato al generale Fantuzzi.
Si segnalò alla ripresa del forte dei Due
fratelli: fu ferito al piede nel vano tentativo di riconquistar la Coronata: quando perì il
generale Fantuzzi, nel quale il Foscolo vedeva raffigurato tutto il valore
italiano; e ne fece poi eloquente ricordo nella orazione per i Comizii di Lione.
Arresosi, il 4 giugno, l'eroico
presidio, i vinti, com'era nei patti, furono, su navi inglesi, sbarcati ad
Antibo. Ma la vittoria di Marengo aveva riaperto loro l'Italia. Il Foscolo
corse a Nizza di Monferrato, dov'era il quartiere generale: di lì a Milano:
dove venne aggiunto allo stato maggiore del generale Pino. Fu in questi tempi,
per ragioni del suo ufficio, in più luoghi: a Lugo, per sterminarvi i briganti:
più volte a Bologna, nel novembre 1800 a Firenze. Qui rivide il Niccolini: e
conobbe la giovinetta Isabella Roncioni, destinata sposa ad un marchese Pietro
Bartolomei fiorentino, che essa non amava. L'adorò. Sentì allora il bisogno di
continuare l'Ortis, di trasformarlo. Indignato dello strazio fatto
dell'opera sua, pubblicò nella Gazzetta
di Firenze del 3 gennaio 1801
e nel Monitore Bolognese del 4 un rifiuto di riconoscere per
sue le tre edizioni da lui vedute dell'Ortis, "apocrife e
adulterate dalla viltà e dalla fame. Riprese il romanzo. La Teresa, la vedova Teresa,
che forse in origine era stata delineata col pensiero alla Monti o alla
Isabella Albrizzi, diventò una giovinetta, che adombrò la Isabella Roncioni.
La prima parte del romanzo, così rifatta, comparve con la indicazione Italia,
1801 (rarissima: se ne conserva un esemplare a Weimar, mandato dal Foscolo al
Goethe, il cui Werther tanto influì sull'Ortis). Nell'ottobre del 1802
il romanzo fu pubblicato intiero a Milano, dal Genio tipografico: e fu dei più
notevoli avvenimenti letterari dei primi anni dell'800.
Due anni prima della
pubblicazione del romanzo, il Foscolo era ritornato a Milano. Ma le ostilità,
in alto, contro il poeta, che non aveva cantato Marengo, incominciarono. Non
gli fu conceduto il brevetto di capitano. Non era pagato dei suoi stipendi, o
solo in parte e a fatica. In una lettera nobilmente sdegnosa, egli domandò le
sue dimissioni. Il Monti e altri amici si interposero. Gli fu concessa la paga
di capitano aggiunto, ed affidatagli la compilazione di una parte del codice militare.
Dopo l'Ortis, nel 1803, il
Foscolo raccoglieva, dedicandoli al Niccolini, i suoi versi, rifiutando tutti
gli altri divulgati innanzi, e segnatamente l'ode a Bonaparte liberatore (e
probabilmente non per la sola inferiorità artistica) e il Tieste; e ne faceva tre
edizioni, l'ultima, la più ricca, comprendente 12 sonetti, l'ode alla
Pallavicini, e l'altra all'Amica risanata.
Nella quale ode, la deificazione che il poeta fa della donna, la contessa
Fagnani, ritornata gloriosamente e freddamente bella, non è senza richiamo alle
idee sulla poesia, svolte nella Chioma
di Berenice (pubblicata nel
luglio del 1803), anch'essa dedicata al Niccolini: traduzione del carme di
Callimaco, già voltato in latino da Catullo, accompagnata da un commento
perpetuo e preceduta e seguita da considerazioni sulla indole e gli uffici
della poesia e, forse con allusione agli adulatori napoleonici, sulle apoteosi,
che i poeti sogliono fare dei principi e degli eroi. Opera scritta in meno di
tre mesi, composta specialmente contro i pedanti e gli accademici, a dimostrare
quanta era dottrina nell'autore o quanto gli era facile acquistarla; ma il
pensatore rompe continuo di sotto l'erudito, come già negli scritti dell'abate
padovano Angelo Conti, che il Foscolo stimò gran demente, e i cui Saggi qui pare tenesse a modello.
Il poeta chiese di prender parte
alla spedizione, che il Bonaparte preparava, o mostrava di preparare, contro
l'Inghilterra. Non senza difficoltà fu accolta la domanda del poeta.
La divisione italiana si mosse
nel novembre del 1803. Ma solo nell'aprile del 1804 il Foscolo, addetto allo
stato maggiore del generale Pino, col grado di capitano, ebbe l'ordine di
recarsi a Valenciennes. Lì confinato a Valenciennes, al comando delle reclute e
degli invalidi, chiese il posto di capo-battaglione, che non gli fu concesso.
Ogni speranza di avanzamento era finita. Il Foscolo si confortò come spesso,
troppo spesso, nell'amore. Ammesso in una famiglia inglese prigioniera a
Valenciènnes, vi conobbe la signorina Sofia o forse Fanny Emeryth: dalla quale
apprese gli elementi della lingua inglese, e la lasciò con nel grembo una
creatura sua, quella Floriana, che apparirà, poi, inaspettata, a confortare, o
forse a turbare di rimorsi, gli ultimi anni del poeta.
Ma l'imperatore sospese l'impresa
contro l'Inghilterra, volendo prepararsi alla campagna contro l'Austria, del
1805. Gran parte dell'esercito fu richiamato e il Foscolo fu destinato a
Boulogne: ove ingannò l'ozio dell'attesa e sfogò il malumore, traducendo il Viaggio sentimentale dello Sterne, e riassumendo la sua
vita, o meglio ritraendo il suo carattere e il suo credo filosofico e morale,
nella Notizia di Didimo
Chierico.
Nel gennaio 1806, poichè la
spedizione contro d'Inghilterra pareva aggiornata a maggio, il Foscolo ottenne
un permesso di quattro mesi, per ritornare a Venezia. Passando da Parigi visitò
anche il giovane Manzoni da lui conosciuto a Milano. Era a Milano nel marzo,
donde partì per Venezia. Vi rivide la madre, la sorella, l'Isabella Albrizzi
Teotochi, più che mai letterata e autorevole fra i belli ingegni letterati.
Passati i quattro mesi, ritornò,
renitente, a Milano.
La libertà, almeno parziale, di
cui venne a godere, la vicinanza del Monti che gli aveva letto l'Iliade.
Continuò la propria traduzione dell'Iliade, già incominciata in Francia.
Nel gennaio del 1807 si recò a
Brescia, ove restò, nella simpatia per la contessa Maria Martinengo Cesaresco.
Qui pubblicò, nei primi d'aprile, i Sepolcri;
e negli ultimi l'Esperimento di
traduzione dell'Iliade: contenente una lettera dedicatoria al Monti, la
versione letterale del primo libro fatta dal Cesarotti, la versione poetica
sua, e di fronte quella del Monti: oltre alcune considerazioni del Cesarotti,
del Monti e sue sulla difficoltà di tradurre alcuni singoli passi di Omero,
come il cenno di Giove.
Specie tra i giovani, i Sepolcri destarono un'eco di universale
ammirazione.
Nel 1808 ottenne la cattedra di
eloquenza all'università di Pavia. Poichè l'insegnamento di eloquenza non
voleva per lui essere precettistica pedantesca, ma una nuova revisione del
prodotto letterario, ricondotto alla sua origine psicologica, alla sua ragione
di essere politica e sociale. Ciò che si scorge dalla prolusione, detta il 22
gennaio 1809, Dell'origine e
dell'uffizio della letteratura, davanti a un pubblico numerosissimo,
presente il Monti, che quattro anni innanzi aveva pur parlato eloquentemente da
quella cattedra.
Ma, prima ancora che il Foscolo
pronunziasse quella prolusione, la cattedra, insieme con altre, fu soppressa:
conservato ai professori lo stipendio per quell'anno: liberi di fare o no le
loro lezioni. Il Foscolo fece le sue lezioni, che durarono fin al 6 di giugno.
Intanto si legava alla Maddalena
Bignami, moglie di un banchiere, prima e a Francesca Giovio,
figlia del conte Gian Battista,
un letterato e patrizio all'antica, che voleva un gran bene al Foscolo.
Nell'agosto del 1809 il Foscolo però scriveva alla contessina, pregandola di
dimenticarlo e di accettare il marito, che il padre le proponeva: un
colonnello, il barone Vautrè.
Fu poi ridotto a vivere a Milano
in due stanzucce, con un assegno annuo di 1000 lire, che egli mandava in gran
parte a Venezia alla sua famiglia. In quella miseria, che troppo spesso lo
metteva in contraddizione con i suoi principi d'indipendenza, lo colpirono i
suoi nemici. E gli aizzarono contro il Monti.
Fu per qualche mese a Venezia,
poi a Belgioioso e poi a Firenze. Si fermò prima alcuni giorni a Bologna, a
visitarvi la contessa Cornelia Barbara Martinetti. Il Foscolo si accese anche
di lei, e le profferse un amore che ella non accettò, e rimase una tenera
amicizia.
A Firenze - la città d'Italia che
a lui pareva la più italiana - il poeta abitò, dai primi d'aprile del 1813, a Bellosguardo. La Isabella Albrizzi
l'aveva presentato per lettera alla contessa d'Albany - la donna amata
dall'Alfieri, e non da lui solo -: e la contessa trattò con ogni cortesia il
poeta, che continuava gli spiriti antifrancesi dell'Alfieri, e suoi. Nel
salotto dell'Albany il Foscolo rivide la Isabella Roncioni,
ora Bartolomei, corteggiata dal prefetto Strozzi: e parecchie donne anch'egli
corteggiò, come la
Eleonora Nencini. Ma quella che amò non certo più caldamente,
ma nell'amicizia della quale trovò poi conforto nei momenti amarissimi, fu la
senese Quirina Mocenni, moglie ad un Ferdinando Maggiotti, demente e infermo,
da lei piamente vigilato. Il Foscolo, nelle moltissime lettere che, anche nei
più tardi anni, le scrisse, la chiamò costantemente la Donna gentile, non senza,
credo, allusione al nome che Dante dette alla donna, che apparve a confortarlo
dopo la morte di Beatrice. Il Foscolo conobbe la Quirina nell'agosto del
1812: prima trovò in lei l'amante; assai presto 1'amica, che lo sovvenne, sin
d'allora, nei suoi bisogni, e sin d'allora gli perdonò, generosa, amori sempre
più violenti, sempre meno degni, per altre donne.
Ma l'ambiente fiorentino fu
favorevole quanto mai altro alla produzione del poeta. Riprese e rielaborò il Viaggio sentimentale dello Sterne, pubblicandone la
versione a Pisa, nel 1813, con la notizia intorno a Didimo Chierico. Lavorò
alla Ricciarda, tragedia
tra amorosa e nazionale, che fu rappresentata a Bologna il 18 settembre 1813,
con un esito che sarebbe stato assai più favorevole, se l'autore, "che fa
lo scrittore e non il ciarlatano", non si fosse rifiutato d'apparire al
proscenio: modestia che parve superbia. E a Firenze in gran parte verseggiò il
Carme alle Grazie.
La rotta di Lipsia (1814)
significava la dissoluzione di quel regno d'Italia, che al Foscolo pareva ormai
regno italiano.
Gli Austriaci ritornarono che lo
vennero a cercare e gli proposero l'idea di fondare e dirigere un periodico,
che, naturalmente, avrebbe dovuto diffondere fra le classi colte la simpatia
per l'Austria. La tentazione era grande: grande il pericolo di un rifiuto. Ma… La
sera del 30 marzo 1815 il Foscolo partiva nascostamente da Milano, per
l'esilio, onde non sarebbe ritornato mai più.
Girò ramingo per la Svizzera. Ma vegliava
su quel vinto la Donna
gentile. Ella si offrì di fargli avere ogni tre mesi una somma, sino a che non potesse
provvedere a sè più largamente.
In quei primi tempi
dell'amarissimo esilio, l'anima del Foscolo s'inacerbì. Riprese e ampliò il Didimi clerici prophetae minimi
Hypercalypseos liber singularis: una satira, o libello, in versetti
biblici, sulla maniera dell'Apocalisse: divisa in diciannove capitoli: che
sferzano il Lampredi (Jeromomo) e gli amici suoi, il Paradisi, il Lamberti, il
Bettoni, l'Anelli, il pittore Bossi, l'amica e la protettrice di tutti costoro,
la vecchia letterata Annetta Vadori. Anche il Monti vi è deprezzato come poeta,
oltraggiato come marito. Nè mancano giudizii sulla decadenza irrimediabile
dell'Italia, e su Parigi (Babilonia maxima) su Roma (Babilonia
perpetua) su Milano (Babilonia minima). Il tutto sotto nomi così
strani, e così oscuri velami, che l'autore aggiunse all'opuscolo una chiave, a
spiegare le allusioni. L'Hypercalipsis fu stampata in pochissimi esemplari
destinati agli amici. È l'unico scritto men che nobile pubblicato dal Foscolo.
Anche pubblicò il Foscolo a
Zurigo, il 1816, ma con la falsa data di Londra 1814, una nuova edizione dell'Ortis,
con la lettera contro il Buonaparte, soppressa in tutte le precedenti edizioni
meno che nella prima: e nel 15
l'operetta Vestigio
della Storia del Sonetto italiano dall'anno 1200 al 1800, che mandava in
dono alla Donna gentile, ultimo saluto a lei, prima di andare in Inghilterra.
Giacchè il Foscolo aveva deciso
di tentare più sicura fortuna in Inghilterra, dove lo scrittore antinapoleonico
non poteva non essere accolto onoratamente. La stessa Quirina lo incuorò al
viaggio. Il Foscolo le offrì di sposarla: giacchè il marito di lei era morto.
Ella non accettò.
Il Foscolo si imbarcò per
l'Inghilterra. L'11 settembre era a Londra.
Grandi speranze, in principio;
specie da poi che Giuseppe Binda, un gentiluomo lucchese che dimorava colà,
l'ebbe presentato nella casa di Lord Holland, convegno dei più nobili spiriti.
Ma i guai incominciarono assai presto: cioè le strettezze economiche. I debiti
si succedevano ai debiti.
I1 24 maggio 1817 moriva sua
madre.
Si ritirò a Kensington, avendo a
sua disposizione la biblioteca dello Holland. Lavorò non più per editori, ma
per periodici.
Pubblico la Ricciarda, sperando in un
guadagno che si tradusse in un debito. Continuò nella versione di Omero, e il terzo
libro mandò a Gino Capponi, che lo pubblicò nella Antologia di Firenze. Scrisse - e talvolta tirò
giù - molti articoli letterari e storici per periodici inglesi.
Ma nel 1822 Ugo ritrovò la sua
figliuola naturale, natagli in Fiandra: la madre era passata a nozze: e la
piccola affidata ad una sua nonna, che ora, morendo, le lasciava in legato
circa 3000 lire sterline, investite in terreni e in tre villette.
Si chiamava Floriana: aveva
diciassette anni: era bella: mitissima. Il padre, che forse appena sapeva della
sua esistenza, dovette essere anche più esaltato che commosso. Sognò un suo
vecchio sogno e che questa volta pareva realtà: una vita serena, un tramonto
sereno, da artista e da studioso, in una casa propria. E subito si dette -
sulla dote della figliuola - a costruire una villa, cui pose nome Digamma-Cottage.
Ma i debiti erano cresciuti a
dismisura ed era disposto a dar lezioni di lingua e letteratura italiana, in
casa di chiunque lo volesse chiamare.
Il 24 novembre del 1824 il
Foscolo fu, pare, arrestato. Da allora la sua vita fu tutta una lotta per sfuggire
ai creditori.
Eppure, in quelle strettezze
estreme, il Foscolo condusse avanti il più meraviglioso, per densità di
pensiero, per dovizia di dottrina, per originalità di vedute, dei suoi lavori
critici: il Discorso sul testo della Divina Commedia (1825).
Pensò un'ultima volta di
ritornare al Zante. Ma Foscolo non
poteva oramai lavorare più. E la infiammazione del fegato e degli intestini
incrudiva. Oramai non si sentiva in grado che di dar lezioni ai giovanetti: di
greco, di latino, di italiano.
Morì la sera del 10 settembre
1827. Un biglietto tracciato per la figlia mostra che, anche presso l'agonia,
lo stringeva la preoccupazione economica, ed era lieto (pare) di aver
soddisfatto i suoi debiti. I1 18 settembre fu sepolto nel cimitero di Chiswick:
cinque soli amici ve l'accompagnarono