martedì 19 gennaio 2021

ITALIANO 3^ - Letteratura. Gabriele D'Annunzio: "La pioggia nel pineto" e "Consolazione"

 

Gabriele D'Annunzio - Alcione

 

LA PIOGGIA NEL PINETO

 

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.

(Data di composizione ignota. Probabile fra la metà di luglio 1902 e la metà dell'agosto dell'anno successivo)



Gabriele D’ Annunzio - Consolazione

 

Non pianger più. Torna il diletto figlio

 a la tua casa. È stanco di mentire.

 Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire.

 Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio.

 

 Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato

 serba ancóra per noi qualche sentiero.

 Ti dirò come sia dolce il mistero

 che vela certe cose del passato.

 

 Ancóra qualche rose è ne' rosai,

 ancóra qualche timida erba odora.

 Ne l'abbandono il caro luogo ancóra

 sorriderà, se tu sorriderai.

 

 Ti dirò come sia dolce il sorriso

 di certe cose che l'oblìo afflisse.

 Che proveresti tu se fiorisse

 la terra sotto i piedi, all'improvviso?

 

 Tanto accadrà, ben che non sia d'aprile.

 Usciamo. Non coprirti il capo. È un lento

 sol di settembre; e ancor non vedo argento

 su 'l tuo capo, e la riga è ancor sottile.

 

 Perché ti neghi con lo sguardo stanco?

 La madre fa quel che il buon figlio vuole.

 Bisogna che tu prenda un po' di sole,

 un po' di sole su quel viso bianco.

 

 Bisogna che tu sia forte; bisogna

 che tu non pensi a le cattive cose...

 Se noi andiamo verso quelle rose,

 io parlo piano, l'anima tua sogna.

 

 Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,

 tutto sarà come al tempo lontano.

 Io metterò ne la tua pura mano

 tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.

 

 Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita.

 In una vita semplice e profonda

 io rivivrò. La lieve ostia che monda

 io la riceverò da le tue dita.

 

 Sogna, ché il tempo di sognare è giunto.

 Io parlo. Di': l'anima tua m'intende?

 Vedi? Ne l'aria fluttua e s'accende

quasi il fantasma d'un april defunto.

 

 Settembre (di': l'anima tua m'ascolta?)

 ha ne l'odore suo, nel suo pallore,

 non so, quasi l'odore ed il pallore

 di qualche primavera dissepolta.

 

 Sogniamo,  poi ch'è tempo di sognare.

 Sorridiamo. È la nostra primavera,

 questa. A casa, più tardi, verso sera,

 vo' riaprire il cembalo e sonare.

 

 Quanto ha dormito, il cembalo! Mancava,

 allora, qualche corda; qualche corda

 ancora manca. E l'ebano ricorda

 le lunghe dita ceree de l'ava.

 

 Mentre che fra le tende scolorate

 vagherà qualche odore delicato,

 (m'odi tu?) qualche cosa come un fiato

 debole di viole un po' passate,

 

 sonerò qualche vecchia aria di danza,

 assai vecchia, assai nobile, anche un poco

 triste; e il suono sarà velato, fioco,

 quasi venise da quell'altra stanza.

 

 Poi per te sola io vo' comporre un canto

 che ti raccolga come in una cuna,

 sopra un antico metro, ma con una

 grazia che sia vaga e negletta alquanto.

 

 Tutto sarà come al tempo lontano.

 L'anima sarà semplice com'era;

 e a te verrà, quando vorrai, leggera

 come vien l'acqua al cavo de la mano.