Alessandro Manzoni – CINQUE MAGGIO 1821
L'ode il Cinque Maggio
fu scritta, di getto, in soli tre o quattro giorni, dal Manzoni commosso dalla
conversione cristiana di Napoleone avvenuta prima della sua morte (la notizia
della morte di Napoleone si diffuse il 16 luglio 1821 e fu pubblicata nella
"Gazzetta di Milano"). Nonostante la censura austriaca, l'ode ebbe
una larga diffusione europea grazie al Goethe che la fece pubblicare su una
rivista tedesca "Ueber Kunst und Alterthum". La prima edizione
avvenne nel
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Analisi del testo
L'Ode può essere divisa in due parti, la prima
che va dal prologo fino alla nona strofa, di tono epico, in cui emerge la
figura storica di Napoleone, dall'ascesa alla caduta La seconda dalla decima
strofa in poi, di tono più contemplativo e lirico (si entra qui nell'animo
dell'imperatore) il cui motivo conducente e la definitiva caduta di Napoleone
come uomo e l'inizio del suo riscatto spirituale e religioso.
I Parte
L'ode si apre con un forte inciso "Ei
fu" in cui pare sia isolata la grandezza "dell'uom fatale",
mentre con attonito stupore la terra accoglie la notizia della morte del
potente personaggio che ha tenuto in pugno per tanti anni i destini d'Europa (è
da notare il doppio significato della parola terra, vale a dire di metafora del
mondo umano da una parte, e, dall'altra, come campo di battaglia insanguinato
dai soldati che per lunghi anni si sono combattuti).
Nella seconda e terza strofa il Manzoni dà le ragioni del
motivo per cui tratta l'argomento e mette in risalto il fatto che egli abbia
composto l'ode senza nessun'ombra di piaggeria o di reverenza verso
l'imperatore. In questa parte sono importanti il termine "genio" di
chiara reminiscenza pariniana, ma dai forti connotati manzoniani e dal diverso
significato, e "forse", che conclude la quarta strofa, in cui emerge
chiara la visione cristiana e provvidenziale del poeta.
Con la quinta strofa si ha l'esaltazione della potenza di
Napoleone che si concluderà nel verso 54. Qui la strofa si anima e con rapidi
tratti è descritta l'immagine di condottiero di Napoleone (è da notare
l'alternarsi in tutta l'ode di toni descrittivi ed epici a toni più riflessivi)
che si contrappone a quella del corpo immemore presente nella prima strofa.
Rapidamente però il tono rallenta e diventa nuovamente contemplativo con la
domanda "Fu vera gloria?", in cui Manzoni rispondendo vuol mettere in
risalto, più che le grandezze terrene del condottiero, la statura morale
dell'uomo: con la propria conversione, infatti, Napoleone ha dato un'ulteriore
prova della grandezza di Dio che servendosi di lui ha stampato "la più
vasta orma sulla terra". Le ultime tre strofe, continuano con la
descrizione del raggiungimento del disegno di gloria di Napoleone (settima e
ottava strofa) e della sua grandezza umana (nona strofa). Particolare rilievo
si deve dare ad alcuni termini in antitesi tra loro che rendono bene
l'instabilità del potere e della gloria umana che caratterizzano l'ottava
strofa: gloria-periglio; fuga-vittoria; reggia-esiglio; polvere-altar. Con
"Ei si nomò" (v.49), cioè con l'enfatizzazione dell'uso antonomastico
del pronome si conclude così la prima parte dell'ode.
II Parte
Il motivo conduttore di questa seconda parte
dell'ode é il verbo "giacque", che ha il significato della caduta
definitiva di Napoleone e l'inizio del suo riscatto spirituale.
Scompare il pronome antonomastico e la figura dell'imperatore
viene espressa attraverso una terza persona più comune, "E sparve, e dì
nell'ozio", "E ripensò..." La strofa centrale di questa parte è
la similitudine espressa nei versi 61-68. Questa è la parte fondamentale in cui
avviene il ripudio delle vane glorie terrene e il sollevarsi verso l'eterno.
Napoleone è come un naufrago che prima a lungo ha nuotato nel mare tempestoso
della vita cercando terre remote, cioè cercando un significato della vita che
le desse un senso. Ma questo suo sforzo è risultato vano, poiché solo Dio può
rendere concreta la sete d'eternità è d'infinito presente nell'uomo e non le
effimere glorie terrene. Anche l'ultima speranza di lasciare ai posteri la
memoria di sé risulta vana. "Il cumulo di memorie" invece di lasciare
la memoria eterna della propria epopea, diventano per Napoleone, un peso
insopportabile, "la stanca man" che cade "sull'eterne
pagine" assume il significato dell'estrema sconfitta umana. La figura di
questa sconfitta è magistralmente descritta dall'immagine presente nel verso
75: "chinati i rai fulminei" (gli occhi, rai, una volta balenanti
sono ora chini al suolo).
La strofa quattordicesima descrive le ultime
immagini che scorrono nella mente di Napoleone prima di morire. Sono immagini
nostalgiche di un passato di gloria e di battaglie, che non ritorneranno più.
Questa strofa e caratterizzato dall'uso del polisindeto, cioè l'uso ripetitivo
della e posta in capo al verso come il
rintocco richiama costantemente gli asindeti epici (ei fu ... ei provò... ei
fe' silenzio) e sembra costruire in tutta l'ode, una linea sintattica che si
prolunga sino a “e sparve”, in cui si denota la caducità della vicenda umana di
Napoleone, e si conclude con il verbo e l'avviò in cui avviene l'annullamento
della volontà umana nella Provvidenza divina.
Avviandoci verso la fine dell'ode c'imbattiamo nella
penultima strofa in cui il poeta riprende la voce dell'oratore. Questa strofa
dell'opera, dal tono biblico e profetico, è stata aspramente criticata per le
sue reminiscenze di retorica ecclesiastica (ha quasi un tono da chiesa
barocca).
"Sulla deserta coltrice/accanto a lui
posò", è un'immagine piena di significato con cui si conclude l'ode: il
letto deserto su cui giace Napoleone, abbandonato dagli uomini, è visitato da
Dio, che ha conosciuto anch'Egli la morte e il dolore e perciò non abbandona
mai l'uomo nei suoi attimi finali di vita. E' un'immagine che esprime una
visione profondamente cristiana del destino dell'uomo.